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La scrittrice Roberta Yasmine Catalano presenta

la musicista Linda Maria Bongiovanni

 

Ora vi invito a chiudere gli occhi.

C’è una piazza, al centro c’è una fontana, che la sera s’illumina e si veste di colori. Lì si ritrovano le famiglie, nei lenti pomeriggi, i bambini giocano con i piccioni, i turisti si fanno fotografare con i venditori d’acqua. Dar el Beida. Casablanca. Da lì parte uno dei parchi più grandi della città, quello della Lega Araba, dove gli studenti si affollano per studiare, per passeggiare, per sgranocchiare noccioline. C’è profumo di zrre’a appena tostati, e uno sfacciato aroma di tè alla menta. Lo sentite? Viene da quel caffè all’angolo, dove una donna sta preparando i baghrir e le msemmen. Calde, sensuali, irresistibili. Ecco, ora seguitemi, perché proprio dietro quell’angolo, dopo la Grande Poste,

si trova il Conservatorio. È lì che si è diplomata Linda, dentro quell’edificio un po’ più scuro degli altri, ma dietro al quale si indovinano aule, pianoforti, chitarre, spartiti. 

Fame? Girando a sinistra, da dove arriva l’assordante coro di clacson dei petit taxi rossi,  c’è uno dei più buoni brochettari di tutta Casablanca, la vetrina fuori espone spiedini di kefta, di fegato, di carne, in un trionfo di spezie e colori che Dar el Beida, la città bianca, indossa a meraviglia.

Questo è il mondo dove Linda è nata e cresciuta, questo è il ritmo in cui ha imparato a muoversi,

a sentire, a vivere. Poi un giorno, improvvisamente, ha dovuto abbandonarlo, correre via con la sua famiglia e perdere tutto: gli averi, gli oggetti, l’odore di casa, il lungomare, gli amici. Uno strappo. Una di quegli squarci che non si ricuciranno mai. Ma gli artisti hanno la grande fortuna di riuscire, seppur a fatica, a tradurre il dolore in musica, parole, immagini. Ed ecco che la musica è per Linda

il cordone che la tiene legata a casa, che la immerge ogni volta nel suo liquido amniotico. Esistono vari tipi di musica: c’è quella da mettere come sottofondo alle nostre giornate, quella da canticchiare sotto la doccia, quella da ballare a perdifiato o da intonare mentre guidiamo, magari a squarciagola. 

La musica di Linda non appartiene ad alcuna di queste categorie.

La sua musica è come una di quelle grandi conchiglie che se ci poggiamo l’orecchio si sente il fragore del mare. E ti catapulta subito su una spiaggia di Casablanca, o di Fedala, a quel lungomare dove Linda amava passeggiare. Ed è subito casa. È come se tutte le canzoni di questo CD fossero nate su quella spiaggia, dove la costante danza delle onde culla come una rassicurazione; 

quando la vedrete carezzare i tasti del suo pianoforte, mi direte se anche a voi non sembrano onde di mare.  Questo CD vi offre l’esperienza di un viaggio. Al camun e  gelsomino. Ma attenzione,

si tratta di un viaggio ancestrale, che vi porta al centro di voi stessi, fino a perdere il senso di orientamento. Così ci lasciamo cullare da tenere ninnananne, da momenti di struggente nostalgia ma sempre a colori, sempre con gli occhi “al di là, vicino all’oceano”, tra "uno sguardo dolce" che si posa su "un mare agitato", per abbracciare "tutto ciò che si ama"," il tempo di un pensiero", di una "danza mattutina sulla sabbia bagnata", inseguendo una "nuvola" molto speciale, prima che il sole vada a dormire, e spingersi ancora e ancora più in là. Poi, dopo esserci abituati a melodie classiche, al’improvviso arriva la darbuka, il tamburo marocchino, quasi a tradimento, a scuoterci, a ricordarci che noi apparteniamo alla terra in cui siamo nati. Ed ecco che il ritmo  spunta fuori, e rivendica spazi, e tempi, più sincopati, quasi una danza di bambini, o una corsa sul bagnasciuga, a inseguire un altro noi. Il Marocco, poi, è una terra che sembra punire i suoi figli, perché non li lascia mai partire del tutto, gli rimane addosso, negli occhi, tra le pieghe di un pensiero, nei sogni.

E i sogni di Linda spingono le vele. E allora sogni, ve ne prego, soffiate forte: si torna a casa.

 

di Roberta Yasmine Catalano - 18.2.2011 - TRAleVOLTE ROMA S.Giovanni

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